La Namibia non era mai stata nella mia lista di destinazioni, eppure, in un periodo in cui era ancora poco conosciuta, decisi di partire senza sapere esattamente cosa aspettarmi.
La difficoltà del viaggio era notevole, e le scarse informazioni su come raggiungere la meta non hanno facilitato l’esperienza.
Tuttavia, grazie a contatti con amici esperti come Kepa, Nacho e Aritz, trovai un modo per evitare i costi elevati di un volo diretto su Skeleton Bay, optando per un volo su Windhoek.
Dalle storie che avevo sentito, viaggiare di notte era sconsigliato. Pensavo fosse per motivi di criminalità, ma le reali ragioni le avrei scoperte solo più tardi.
Decisi di coinvolgere un amico fidato, Eugenio Barcelloni, un viaggiatore esperto che non si tira mai indietro. L'organizzazione fu frenetica: in quattro-cinque giorni capimmo che la swell sarebbe arrivata, e quarantotto ore prima dell'arrivo della swell acquistammo i biglietti.
Il viaggio verso Skeleton Bay richiedeva tempismo perfetto e condizioni meteorologiche ideali. Decidemmo di partire immediatamente, con un volo notturno per Windhoek e, dopo circa quindici ore, arrivammo a destinazione. Un ritardo al nostro arrivo ci costrinse a iniziare il viaggio verso Skeleton Bay con il buio ormai calato, contro ogni indicazione che ci era stata data.
Il paesaggio lungo il tragitto era surreale: dalla giungla al deserto, attraversando montagne rocciose. Con l'arrivo della notte, la strada divenne pericolosa. Occhi rossi illuminati dai fari della macchina ci costringevano a procedere a passo d'uomo. Capimmo presto il motivo per cui viaggiare di notte era sconsigliato: gli animali selvatici come le antilopi e iene rappresentavano un vero pericolo, e fare un incidente con animali di quelle dimensioni nel buio più totale, dispersi nel deserto era un’esperienze che avremmo voluto non provare.
Arrivati finalmente al campeggio, una semplice baracca a cinque dollari a notte, decidemmo di affrontare l'avventura in solitaria, muniti solamente di una mappa cartacea. Sgonfiammo le ruote del fuoristrada e ci avventurammo nel deserto. Perdemmo l'orientamento tra le dune per un paio d'ore, ma l'emozione di essere nei pressi dello spot e che ci stavamo arrivando soli ripagava ogni difficoltà.
Skeleton Bay si presentava in tutta la sua bellezza selvaggia: una costa desolata, priva di qualsiasi traccia umana, circondati solo da scheletri di animali (che danno appunto il nome alla spiaggia).
Alla fine del point risiedeva una gigantesca colonia di leoni di mare, e non sono animali piacevoli da trovarsi di fronte, e quando tornavamo sul picco per andare a prendere altre onde, dovevamo farlo a piedi data la fortissima corrente, facendo slalom tra questi pachidermi.
La presenza degli squali è spaventosa ma l’infinita disponibilità di cibo che hanno in quelle zone remote li rende disinteressati nei confronti degli umani.
Le onde erano una sfida continua: apparentemente perfette, si rivelavano invece velocissime e difficili da surfare, specialmente in backside.
Le condizioni che trovammo non erano ideali, con onde di un metro e mezzo, massimo due, ma nonostante onde sotto le nostra aspettative, la soddisfazione di essere arrivati lì superava ogni delusione.
Durante quei giorni accampati nel deserto, incontrammo altri surfisti, disposti a sacrificare tutto per vivere quell'esperienza unica.
Stringemmo amicizie con diversi surfisti baschi, condividendo emozioni e momenti indimenticabili, resi ancora più speciali dalla lontananza dal mondo, immersi nel deserto con il tempo che veniva dettato solo dall’alba e dal tramonto del sole.
Grazie a questa esperienza abbiamo scoperto nuovi aspetti della Namibia e grazie all'esperienza acquisita, sappiamo ora come muoverci meglio per la prossima avventura.
Skeleton Bay è uno spot in continua evoluzione, potremmo continuare a scrivere aneddoti all'infinito ma lascerei qualche dubbio. Siamo già in attesa della prossima occasione per ritornarci, e chissà magari proprio con un trip ONTHEHUNT.
GRAZIE NAMIBIA.
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Emozionante